Una “scalata verso il paradiso”. Un “percorso celestiale”. I commenti entusiasti che i giovani spettatori del liceo classico-scientifico Imbriani di Pomigliano d’Arco (Na) hanno lasciato sul sito (www.tappetovolante.org) della società Tappeto volante di Scafati, organizzatrice dell’evento “Il Paradiso di Dante al castello Arechi di Salerno”, come un marchio indelebile della loro indimenticabile esperienza dantesca, valgono molto di più dei giudizi di mille esperti di teatro e arte. Un attestato di stima che certifica la buonariuscita di questo nuovo e più leggero modo di fare cultura, di avvicinare giovani e non alla letteratura italiana. Anziché studiarla solamente sui banchi di scuola, non è forse meglio vivere la Divina Commedia, in prima persona, “al chiaro di luna” mentre un venticello rinfresca “una notte di mezza estate”? Ed è così che, a sei anni dall’uscita dell’Inferno nelle grotte a Pertosa, è possibile entrare nell’ultimo dei tre canti della Divina Commedia, al seguito del Sommo Poeta rimasto orfano di Virgilio che non è degno di guidare il toscano fin nel Paradiso.
Il progetto
L’idea di organizzare l’evento in una location d’eccezione, i ruderi del castello medievale che fu del principe longobardo Arechi II, è venuta – come per l’Inferno a Pertosa, Orfeo ed Euridice nelle grotte di Castelcivita, e L’Ultima notte di Ercolano: il mito di Enea – al regista Domenico Maria Corrado. Il giro “paradisiaco”, come lo definisce sul sito un’altra spettatrice, Lucia di Napoli, è organizzato in collaborazione con il Castello Arechi, di Marco De Simone. Insieme hanno lanciato un’avventura in uno scenario di straordinaria bellezza. Sul colle “Bonadies”, la fortezza si erge imponente dominando la città e il golfo di Salerno che, in una cornice panoramica mozzafiato, si presta come location ideale per l’evento.
Lo spettacolo
Ad accogliere il pubblico ai piedi del castello sono Dante, con la Divina Commedia sotto braccio, e la sua amata Beatrice, rigorosamente in costume d’epoca. Con il Sommo Poeta, dall’accento partenopeo, inizia l’ascesa al Paradiso lungo i camminamenti della fortezza, sospesi tra cielo e terra. Il pubblico attraversa i nove cieli in un’atmosfera celestiale creata dagli impianti scenografici appositamente realizzati e da una soave colonna sonora che accompagna il percorso. Dante accompagna gli spettatori nel Cielo della Luna dove si incontrano gli spiriti mancanti ai voti non per scelta ma perché costretti, tra cui Piccarda Donati, cugina della moglie del sommo poeta, Gemma Donati. Si passa nel Cielo di Mercurio dove si trovano gli spiriti che celebrano l’amore per la gloria e la fama terrena, come Giustiniano, l’imperatore che riformò le leggi e la società romana in pace e prosperità. Nel Cielo di Venere si incontrano le anime di coloro che “hanno amato”. Uno su tutti: Carlo Martello d’Angiò, noto anche come Carlo I Martello, principe di Salerno e re d’Ungheria.
Il Cielo del Sole è caratterizzato dalla sapienza. Vi risiedono le anime dei sapienti e dei dottori della Chiesa: qui San Tommaso d’Aquino tesse le lodi di San Francesco. Nell’attraversare il Cielo di Marte – che ospita le anime di chi combatté e perse la vita per la fede – gli spettatori si imbattono in Carlo Magno e l’anima luminosa dell’antenato di Dante, il suo trisavolo Cacciaguida, a Salerno in versione cantante. E lui che intona la canzone, del 1963, di Fabrizio De Andrè (scritta a quattro mani con Paolo Villaggio), dal titolo “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”. Nel brano – dedicato al maggiordomo di palazzo dei re merovingi che per quattro anni esercitò il potere regale pur non avendone il titolo – è contenuta la frase “ma più dell’onor, poté il digiuno”, che rappresenta una sottile citazione dantesca: “Poscia, più che il dolor, poté il digiuno” (Inferno, Canto XXXIII, in riferimento al conte Ugolino). Il regista avrà voluto ricordare De Andrè e, forse, anche la sua “creatura” pertosana che tanto successo ha ottenuto in questi anni.
I forni cinquecenteschi del castello fanno da scenario al Cielo di Giove la cui caratteristica è la virtù. A Dante e agli spettatori appare l’anima di un giusto, l’imperatore Costantino. San Benedetto da Norcia accoglie i visitatori nel Cielo di Saturno, caratterizzato dalla meditazione e dalle anime di chi si diede alla vita contemplativa. Nell’ottavo Cielo, delle Stelle Fisse, gli spiriti trionfanti appaiono a Dante come segnali della grande luce di Cristo. E lì che Dante lascia ai “lettori” l’ultima immagine di Beatrice, come donna coronata di luce, segno di premio e potenza. Ella è ormai lontana, ma la potenza visiva dantesca attinge all’infinito e ne varca i misteriosi limiti. L’immagine di Beatrice discende a lui nella sua luminosa chiarezza, senza essere mescolata ad altro mezzo, acqua od aria, che possa attenuarla. Dopo la toccante preghiera di Beatrice ecco l’incontro tra il Sommo Poeta, Maria Vergine e l’Arcangelo Gabriele, con San Pietro, San Giovanni Evangelista e San Giacomo che lo interrogano sulle tre virtù: la Fede, la Speranza e la Carità.
Il finale
Al pubblico non rimane che guardare verso il terrazzo bizantino della fortezza dove, nel nono cielo, Cristallino, detto anche Primo Mobile, San Bernardo di Chiaravalle si rivolge a Dante e lo esorta a spingere il suo sguardo lungo la rosa, affinché il suo viaggio verso Dio giunga a compimento preparandosi all’alta visione della sua mente. E poi una preghiera alla Madonna affinché consenta a Dante di guardare Dio. Oltre i nove cieli vi è l’Empireo, dove ha sede Dio circondato dagli angeli e dalla Rosa dei beati. E beato sia chi riesce a far cultura con piacevole semplicità. Prossima tappa il Purgatorio alla certosa di Padula o, per chi ama William Shakespeare, Romeo e Giulietta nella rocca medievale di Caserta Vecchia.
Basilio Puoti